La Rete dei Festival di Autoproduzione

Nei giorni scorsi ci siamo riuniti con gli altri festival di autoproduzione italiani: abbiamo un piano!
Buon primo maggio!

Illustrazione di Marie Cécile

Usciamo dal silenzio di questi mesi il primo maggio perché questa data è per noi densa di un valore simbolico che vogliamo sia anche una riflessione in questo momento particolare della nostra storia.
I nostri immaginari hanno già visto tutto questo che viviamo: dalla grande epica dell’Eternauta in poi, dove la metafora dell’invasione invisibile era una previsione del fascismo che stava per impossessarsi di quel mondo. Noi abbiamo già vissuto leggendo e disegnando storie di società chiuse, di caste totalitarie e sacche di resistenza che disperate non smettono di lottare. Abbiamo visto deserti e montagne e città multilivello. Ribelli in biciclette riciclate e astronavi scassate ai margini della galassia. E abbiamo visto e conosciamo con chiarezza che la distruzione di questo mondo umano prende il via da quella dell’ambiente, uno sterminio che il capitale determina con freddezza calcolo e brutalità. Il virus è un effetto collaterale di uno stato di cose che sviluppa, e continuerà a sviluppare se non troveremo il modo di fermare questo processo, altre forme di distruzione di massa.
Abbiamo visto che questo virus non ci lascia tutti e tutte sulla stessa barca: la quarantena romantica se la possono permettere dalle loro tenute sempre lo stesso un per cento la cui ricchezza ci impone la nostra quarantena 3×3 metri in una stanza in affitto. Non possiamo aver paura di uscire di toccarci, conoscerci scambiarci: siamo sudore e notti in bianco a lavorare, creare e stampare. La stanchezza non fa per noi siamo sempre pronti a ballare fino al mattino seguente. Non ha molto senso sopravvivere in un mondo in cui libertà e arte sono relegate ai ricordi e all’etere. Sopravvivere non fa per noi. I festival che realizziamo sono ultraluoghi di contaminazione dove le situazioni e le collettività mettono in moto le idee e i processi creativi.
Siamo un’orda di costruttori di immaginari. Non esiste nessun supporto alla sopravvivenza ora per chi lavora in ambiti creativi, siano inventori di opere d’arte o di zine fotocopiate o dalle tecniche di stampa più raffinate. Non esiste supporto perché, mentre noi vediamo e disegniamo tutto, semplicemente siamo fuori dalle orbite del capitale che non vuole e non può vederci. Siamo fuori da ogni obbiettivo. Non siamo una categoria, siamo un mondo che non ha assorbito in silenzio i modelli di vita proposti. Ne abbiamo scavati altri, tra mille difficoltà, fra lavori parrucca e lavoretti, fra lavori sommersi e neri. Ma soprattutto abbiamo deciso di non lavorare se ci era possibile, di progettare autoproduzioni senza editor né editore.
E abbiamo per questo formato un network, una rete che non è virtuale ma concreta tangibile, fatta di vite che si incontrano e condividono. La rete dei festival dell’autoproduzione, questo circo di nani, freak e mutanti intersezionali, che decidono dei propri corpi e dei propri sessi come del proprio modo di creare le cose. Radicali che vengono da molti margini diversi. Una rete orizzontale, autoconvocata, autogestita, autofinanziata solidale e internazionalista. E ora che il reale ci rigetta ancora di più, costringendoci in separazioni, chiudendoci gli occhi, sentiamo che è il momento di uscire in campo aperto, fare rete per una volta senza nessuna rete di protezione.
I nostri festival quest’anno non sono in grado di essere svolti. Il movimento non è permesso, o sarà molto difficile, il contatto che ci permette di condividere e reinventare non è permesso, lo spazio è contingentato: la medicina che ci indicano per curare i nostri mali continua a produrre altri mali più grandi. E senza questi spazi non esistono le relazioni, né possono nascere le contaminazioni che sono il compost su cui mettere in moto comunità e processi creativi. Esiste solo il controllo su spazi desertificati su cui restano accesi solo i fari dei social media e delle app di controllo. Ovvero del capitale delle piattaforme, unico vincente globale di questa segregazione. Alcuni dei i nostri festival sono parte integrante dei centri sociali, luogo reale per questa rete, ma non solo.
Il Forte Prenestino CSOA, Lo Scugnizzo Liberato, Xm 24, ex-Casema Liberata, Macao, sono spazi liberi, unici e indispensabili, sono quei posti in cui molti di noi hanno trovato un gruppo, una casa, vissuto esperienze inimmaginabili, gioito e lottato, sono spazi insostituibili e l’unico futuro che ci immaginiamo è un futuro in cui RESISTONO E SI MOLTIPLICANO.
E allora?
Allora dobbiamo trovare altri modi altre forme per riprenderci quello che abbiamo costruito in autonomia, con pazienza e senza chiedere permesso a nessuno. Pensiamo che questa rete possa essere un sostegno concreto a tutti questi progetti politici, autonomi e fatti di figure imprendibili.
Ogni città un presidio per l’autoproduzione, per la nostra storta bellezza. Ogni festival promuove autoeditoria molecolare. Ma questo è il momento di una apertura ancora più ampia, contaminazione, commistione con altre realtà. Realtà singole e collettive, festival, eventi, librai, etichette musicali, schegge vaganti, pazzi solitari. Unire cellule di rivolta immaginaria.
È il momento che questo circo, questo sideshow mutante, proponga un patto per mettere in giro le nostre mangiatrici di spade e matite, i nostri fachiri di puntine da disegno, i nostri contorsionisti dei fogli di carta.
Questo comunicato oggi, apre una finestra e una prospettiva. Vera però. Una pratica. Abbiamo un piano, o almeno l’inizio di un piano. Torniamo presto a raccontarlo, per capire come possiamo farcela e come le nostre invisibili affascinanti merci disegnate torneranno nelle città, nelle strade, sui muri.
Abbiamo bisogno di tutti e tutte.
Battete un colpo sapete come trovarci.
A prestissimo.
LA RETE

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